Lavori in corso e volpi in provincia di Avellino

  • fonte: D - La Repubblica, n° 700, pagg 48-49

Forse - questa è un’ipotesi - i giornalisti che lavorano nelle redazioni in Italia non hanno mai incontrato nella loro carriera qualcuno che insegnasse loro a scrivere le didascalie. Ne abbiamo parlato anche in passato su questo sito, temo ne dovremo parlare anche in futuro, condannati come sembriamo essere a ripeterci per la scarsa permeabilità delle routine giornalistiche italiane alle nostre inascoltate prediche.

Eppure “Come si scrive una didascalia” è uno degli argomenti affrontati in qualsiasi corso di fotogiornalismo. “How to write captions” è il titolo di numerosi capitoli o paragrafi di volumi sul fotogiornalismo o comunque sull’utilizzo delle immagini nel campo editoriale. Se ne trovano – facilmente – numerosi esempi anche in rete.

  • fonte: D - La Repubblica, n° 700, pagg 50-51

Nonostante la disponibilità di queste risorse, nel numero 700 di D-La Repubblica, per meglio spiegare le 31 fotografie di Samuele Pellecchia (Agenzia Prospekt) pubblicate da pagina 48 a pagina 59, sono state utilizzate 8 didascalie. Se si considera che quattro immagini hanno la loro propria didascalia (alle pagine 48-49, 52-53, 56 e 58, le rimanenti 27 fotografie hanno solamente quattro didascalie collettive, nelle quali sono “compresse” alla bell’e meglio le informazioni essenziali.
Essenziali? Vediamole nel dettaglio.
Didascalia “collettiva” a pagina 50, che ci dovrebbe guidare nella lettura di sette fotografie:
“Facce, luoghi e storie dell’Appia. L’inizio (Porta Capena, Roma), i suoi resti (qui sotto, tra Fondi e Itri, vicino a Latina), al mare (Terracina), tra aerei (Ciampino), vie del centro (a Benevento), lavori in corso e volpi in provincia di Avellino.”

Oppure quella a pagina 51, collegata ad altre sette foto:

“Lasciata Roma (e i suoi cartelli, qui a sinistra) l’Appia punta a sud, lungo i campi di pomodori di Capua (Ce), sfiorando Caserta e la sua Reggia (in alto) per poi attraversare paesini come Oria (Br), in alto a sinistra il rione ebraico, e Venosa (Pz): il bar del Popolo in piazza del Castello”

  • fonte: D - La Repubblica, n° 700, pagg 52-53

Eppure, di spazio per altre didascalie ce ne sarebbe stato, a volerlo trovare, e dunque si poteva prevedere una descrizione delle immagini in forma disaggregata: una per ogni immagine. Il grafico invece ha preferito lasciare molto spazio bianco, consegnando al redattore due spazi striminziti per le didascalie, del tutto inadatti alla descrizione di sette immagini tra loro molto differenti per il loro “chi-dove-quando-cosa-perché-come”.
Se però vogliamo provare a individuare responsabilità precise, anziché imputare sempre ciò che accade al destino crudele, dobbiamo dire delle cose forse un po’ sgradite, che non possono tuttavia più essere sottaciute. I colleghi grafici e art director, che nelle redazioni più “serie” sono sempre - o quasi sempre - dei giornalisti professionisti iscritti all’ordine (per motivi di natura contrattuale) sono consapevoli di lavorare in un organo di informazione? Sanno che la collocazione in pagina di articoli, immagini, grafici, titoli, sommari, occhielli, didascalie e altro risponde ad una esigenza prioritaria di tipo informativo? O non si confondono spesso con altri ambiti in cui la grafica ha altri ruoli e altre esigenze, come ad esempio il campo pubblicitario o artistico o più banalmente commerciale? I grafici che lavorano nelle redazioni, nella mia esperienza personale, spesso non sono dei giornalisti-grafici ma dei grafici che hanno sostenuto e superato l’esame di giornalista, il che è tutt’altra cosa. Ciò li rende, spesso, inadatti a gestire le informazioni, spesso proprio nel delicato campo delle informazioni testuali che si accompagnano alle immagini.

  • fonte: D - La Repubblica, n° 700, pagg 54-55

C’è però a questo punto l’altra metà antipatica del discorso che andrebbe fatta. Anche supponendo che quella dei grafici sia la responsabilità primaria, non c’è a valle (o a monte, o di fianco, nella organizzazione del lavoro redazionale) un controllo giornalistico che preveda, da parte dei caporedattori, vicedirettori e direttori (ce n’è spesso più d’uno) la corretta didascalizzazione, seguendo criteri giornalistici, delle immagini, in modo da non dover propinare al lettore delle bestialità del tipo di quelle sopra accennate (“lavori in corso e volpi in provincia di Avellino”)?

  • fonte: D - La Repubblica, n° 700, pag 56
  • fonte: D - La Repubblica, n° 700, pag 58


D’accordo, era una domanda retorica, perché la risposta la sappiamo già: no, non c’è questo controllo, perché nelle redazioni non c’è la cultura dell’immagine e di quello che, una volta messa in pagina, essa dovrebbe significare. Non c’è rispetto né per il lavoro del fotogiornalista (nello specifico, il bel lavoro di Samuele Pellecchia è stato ridotto, proprio grazie a questo impaginato “artistico”, ad un insulso mosaico, a uno zibaldone di immagini e immaginette senza capo né coda), né c'è rispetto per gli interessi del lettore, che forse, oltre all’emozione della doppia pagina coi colori saturi o le atmosfere forti, vorrebbe anche trovare, nelle immagini e nelle loro didascalie, un’informazione che affianchi, arricchisca e completi i contenuti degli articoli.

E dire che, per arrivare alla sufficienza, basterebbe sfogliare e trarre ispirazione da qualche rivista straniera.

Marco Capovilla