“Nella maggior parte dei paesi civili (senza distinzione tra oriente e occidente, tra sud e nord del mondo) le fotografie sui giornali sono firmate con il nome del fotogiornalista seguito da quello dell’agenzia di stampa per cui lavora.”
Se questa frase vi sembra di averla già letta da qualche parte, vi confermiamo che, sì, l’avete letta proprio su questo sito qualche anno fa.
Da troppi anni noi di Fotografia & Informazione denunciamo, con scarsi risultati, la prassi della quasi totalità dei quotidiani italiani di non scrivere accanto alle fotografie i nomi dei loro autori. A dimostrazione di cosa intendiamo quando parliamo di “paesi civili”, vogliamo qui fornirvi la prova tangibile di come i quotidiani sono abituati a trattare i crediti fotografici in una parte del mondo tanto vicina a noi geograficamente, quanto travagliata nella sua storia recente: i Balcani.
In un recente viaggio tra Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Repubblica Serba abbiamo collezionato alcuni quotidiani, alla rinfusa e senza alcuna pretesa esaustiva, per verificare proprio la presenza (o meno) dell’attribuzione delle foto al loro autore, al di là di stili grafici, impaginazioni e utilizzo delle fotografie tra i più vari. Ebbene, abbiamo effettivamente verificato che, senza eccezioni, nella totalità dei giornali quotidiani di quei paesi la stragrande maggioranza delle foto in essi contenuti è firmata con il nome dell’autore.
Dai più noti giornali sloveni come Delo o Dnevnik – curati e attenti all’uso delle fotografie - ai meno noti Poslovni dnevnik della Croazia, Zeri del Kosovo, o, infine, Glas Srpske, della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, di cui abbiamo fornito qui un piccolo ma significativo campione.
Non nominiamo nemmeno i numerosi giornali di paesi dell’area di influenza ex-sovietica, dall’Ungheria alla Repubblica Ceca, dalla Polonia alla Romania e dalla Bulgaria alla Slovacchia i cui quotidiani, al pari di quelli dei paesi appena citati, giornalmente firmano le fotografie che pubblicano con i nomi dei giornalisti visivi che li hanno prodotti e delle agenzie per cui lavorano.
Paesi civili, appunto, molto più del nostro.
Marco Capovilla