Mi ha molto colpito l'articolo uscito su
La Repubblica del 19 settembre che parla dei retroscena della foto premiata con il World Press Photo awards 1998.
Rimando gli interessati all'intervista che la signora Oum Saad (il soggetto ritratto nella foto) ha rilasciato a Magdi Allam.
Per un anno circa tutto il mondo ha creduto che la signora fosse una madre di 8 figli sterminati nella strage di Benthalla; in realtà ad essere uccisi erano stati Il fratello, la moglie di questo e la figlia; non che faccia granchè differenza nel dolore di una persona colpita in una maniera così brutale, mentre, ai fini di una corretta informazione la differenza certamente esiste
L'agenzia AFP, presso cui lavora il fotografo Hocine, non si è preoccupata, se non dopo lunghissimo tempo, di verificarne la veridicità: se lo avessero fatto a tempo debito forse avrebbero scoperto (e con loro l'autore della foto) per esempio i guai che quella foto le aveva procurato e le condizioni di estrema indigenza in cui la signora e la sua famiglia erano costretti a vivere;.
Aggiungo anche che avrebbero dovuto farlo a maggior ragione perché la stampa filogovernativa Algerina si era impegnata con forza a negare l'esistenza di quella donna.
Voglio rammentare un episodio molto simile, che per fortuna ha avuto degli sviluppi:
qualcuno ricorderà la foto della bimba ferita ad un occhio da un cecchino serbo, ritratta davanti all'ospedale Kosevo a Sarajevo: Bosnia.
Anche quella foto fece il giro del mondo e addirittura il fotografo se ne accorse svariati giorni dopo, (la comunicazione con l'esterno, chi è stato a Sarayevo ,lo sa, era difficilissima e l'autore della foto era un free lance che vendeva le sue foto alla Associated Press per pagarsi la permanenza in città)
Per lui era un lavoro di ordinaria amministrazione: un ferito in più ritratto all'ingresso dell'ospedale.
Se non che, per i casi della vita quella foto prende le prime pagine dei più grandi giornali del mondo e mette in moto una campagna di solidarietà che permette alla bambina ferita e ai suoi genitori di uscire dalla città assediata per prestarle cure adeguate : la foto si materializza, il soggetto ha un nome e cognome e una storia.
E l'autore della stessa, una volta venuto a conoscenza di tutto quel che era successo, va a trovare la bimba e la madre.
Ecco ,tutto questo in Algeria non è successo: sarà l'assuefazione alla tragedia, sarà che i musulmani contano meno dei bosniaci (ma non erano musulmani pure loro ?)
Sarà la vicinanza e l'obiettiva difficoltà della stampa a muoversi in una situazione incancrenita come quella algerina.
Però nell'intervista che apre il volume dedicato alle foto premiate per il WPP 1998 non c'è il minimo accenno da parte dell'autore al soggetto della fotografia, neanche la remota curiosità di sapere chi fosse, neanche un discreto ringraziamento per tanta fama tutto sommato da lei veicolata (e denaro, e assignement importanti, ritengo)
Tantomeno all'intervistatore che suppongo essere persona informata sui fatti, è venuto in mente di chiedere qualcosa al riguardo
Tutto questo, senza nulla togliere alla bellezza e all'importanza della foto e tenendo presenti le condizioni in cui l'informazione è costretta a lavorare in Algeria, non mi sembra affatto bello.
Marco Vacca